Oggi voglio ringraziarvi per la costanza che avete nel seguire il mio Blog e dei commenti che puntualmente arrivano. Una cosa è certa: a distanza di quasi un anno dalla nascita di Carissimitutti siete tutti creditori nei miei confronti perché quello che ricevo è molto, molto più di quello che riesco a restituire. Cerchiamo tutti, pur nell’imperfezione di queste feste, di non perdere mai la tenerezza e il senso vero del Natale. Questo racconto è un mio regalo. Buon Natale di cuore!
…Rendimi, Signore, disponibile alle sorprese:
comprenderò la liturgia pura del sole,
la liturgia mite del fiore…(Michel Quoist)
IL DONO DELLO STUPORE
L’uomo guardò il cielo, le colline dietro Gerico si stagliavano nel fulgore della notte d’oriente e i suoni e gli odori del deserto si facevano sempre più penetranti. Faceva freddo e intorno al fuoco, poco distante, stava il compagno con il suo gregge. Aveva un lungo bastone e stava attizzando la fiamma che, a sua volta, illuminava i volti dei due pastori coperti dai lunghi scialli di lana e dava ai pochi lineamenti scoperti un aspetto magico. Avevano vagato tutto il giorno in cerca di cibo per gli animali, poi stanchi si erano fermati nell’oasi di Ein Gedi ad abbeverare il bestiame. Quegli uomini nomadi e solitari avevano acutizzato i sensi, potevano sentire i rumori di una carovana a miglia e miglia di distanza, prima ancora che i primi cammelli apparissero in lontananza facendo capolino dalle dune. L’istinto faceva capire loro quando sotto un sasso si nascondevano lo scorpione e la vipera o lontano era in arrivo una tempesta di sabbia. Nulla temevano di ciò che li circondava, erano in perfetta simbiosi con la natura e i suoi misteri. Però quella notte in un attimo tutto mutò e divenne irreale, quella luce all’improvviso sorprese i loro occhi che si spalancarono di paura. Era una stella diversa da come le avevano sempre viste, più bianca, grandissima, con una coda luminosa che non scompariva come le altre.
Nel buio, a piedi scalzi e impacciato da una grossa coperta che si era messo sulle spalle, l’oste si affacciò alla porta della locanda tenendo il lume ad olio all’altezza del viso dello straniero. Voleva capire che intenzioni avesse, quel vecchio con al seguito una ragazza sul dorso di un asino che chiedeva riparo per la notte. Non era abituato a dare ospitalità senza riceverne alcun compenso, gli occhi di quell’uomo arrossati dalla stanchezza e quella giovane ragazza sofferente per le doglie lo infastidivano. No, assolutamente no, le camere erano tutte occupate e poi se il bambino fosse nato, il pianto avrebbe disturbato gli ospiti che, la mattina seguente, avrebbero poi discusso sul prezzo della camera. Doveva escogitare qualcosa per levarseli di torno. “Fuori, fuori, andate fuori dove c’è il riparo per le bestie, potete passare la notte là” esclamò infine l’uomo chiudendo la porta.
La luce fioca di una piccola lanterna illuminava le pareti di roccia del ricovero e il calore che diffondevano i corpi e i fiati degli animali sapeva di buono, ricordava la serenità e la sicurezza dell’intimità familiare. Fuori la notte. Fuori c’era il buio e la cattiveria degli uomini, stemperata solo dalla ingenua curiosità dei pastori che si erano affacciati sulla soglia della stanza. Quella era stata una notte magica e strana. Chi era quella ragazza e quell’uomo ormai anziano che si presentavano ai loro occhi? E il bambino? Il bambino che finita la poppata materna si era tranquillamente addormentato? Com’era possibile che quella fragile creatura fosse un re? E di quale regno? Certo era che non assomigliava per niente ad un sovrano. Era veramente un mistero. Eppure quella strana figura che era apparsa a loro in una luce meravigliosa di una strana notte d’oriente e che li aveva tanto spaventati, aveva detto proprio così: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». I pastori avevano creduto a quelle parole e si erano messi, senza indugio, in cammino seguendo la coda di quella stella bianchissima verso Betlemme. Adesso stavano là sulla soglia dove lentamente, sorreggendosi a vicenda per farsi coraggio, iniziavano a entrare. Tutti avevano qualcosa da offrire, chi un agnellino, chi un pezzo di lana grezza e spessa per coprire il piccolo, chi del formaggio, altri del latte per ritemprare le forze della partoriente sfinita e del vecchio che si appoggiava ad un lungo bastone e sembrava molto stanco. Solo un pastorello molto giovane non si faceva avanti e stava all’entrata della stalla guardando la scena. Ogni tanto veniva spinto dagli altri che passavano e si accalcavano vicino alla mangiatoia; sbilanciato metteva un piede avanti, a volte due, ma subito dopo, come preso da timore, indietreggiava per poi riaffacciarsi dall’ombra alla luce. Le attenzioni della donna erano tutti per il bambino, ogni tanto alzava la testa e guardava ora il vecchio ricambiando un dolce sorriso, ora i pastori felice della loro presenza. Ad un tratto i suoi occhi si posarono sul giovane fermo all’ingresso, in fondo alla stalla. Fuori era iniziato a nevicare forte e il freddo si era fatto pungente, qualche fiocco di neve entrava attraverso la porta tenuta socchiusa dal pastore. Maria sorrise e con la mano gli fece cenno di entrare. Gli uomini si spostarono e fecero ala al passaggio del giovanetto, che di fronte al bambino si inginocchiò e disse: “Mi dispiace ma io non ho niente da offrirti se non il mio stupore e la mia devozione”. Allora Maria disse: “Non dolerti perché tu non sei venuto a mani vuote! Il mondo sarà stupendo finché ci saranno persone come te. Hai portato al mio piccolo Gesù un regalo bellissimo: la tua semplicità. Ti sei meravigliato dell’amore di Dio fatto Uomo”. Fu in quell’istante che nella stalla proruppe improvvisa una luce accecante e mentre nel cielo alta brillava la cometa il Bambino sorrise.
a.o.