Tito era bravissimo in italiano, tanto bravo che quando ai tedeschi capitava tra le mani uno di quei volantini che incitavano alla resistenza e portavano notizie di coloro che combattevano in montagna, il Comando del paese andava in subbuglio e il capitano delle SS montava su tutte le furie ordinando l’ennesima perquisizione a tappeto. Niente, come sempre non veniva trovato niente e dopo un po’ di tempo i soliti volantini riapparivano. Tito infatti i volantini li scriveva e basta, quindi passava il tutto al professore di italiano e il suo compito finiva lì, ci avrebbe pensato l’organizzazione a farli stampare fuori dal paese, lontano, per poi metterli in circolazione quando il momento era propizio. Però da un po’di tempo a Tito non bastava più scrivere, aveva un’idea che gli ronzava in testa da parecchi mesi: quella di prendere la via della montagna e unirsi ai partigiani. Era certo, lo avrebbe aiutato il professore.
Quella sera tornò a casa che la minestra era già nel piatto. -Dove sei stato fino a quest’ora ? – chiese la mamma che si era messa a rammendare seduta sulla sedia di cucina. Non era la solita domanda di sempre e a Tito sembrò che quel voler sapere nascondesse vaghi sospetti. Pensò un attimo prima di rispondere, un solo istante che parve un secolo. – A casa di Franco. Domani abbiamo il compito di ragioneria. Abbiamo fissato di incontrarci presto per ripassare e poi andare direttamente a scuola. – La mamma, senza ribattere, continuò a cucire e Tito iniziò a mangiare in silenzio con il cuore che batteva nelle tempie – E se sospettasse qualcosa? – . Erano soli lui e la mamma, altre domande nessuno gliele avrebbe fatte, si rasserenò. Papà aveva il turno di notte, e come personale viaggiante in ferrovia non sarebbe rientrato che il mattino dopo. Tito guardò il gatto vicino alla cucina economica, poi si alzò e andò a stuzzicarlo, ma quello dopo essersi stirato continuò a dormire. – Buonanotte mamma – disse e salì le strette scale che portavano in camera, chiuse la porta, si spogliò lentamente, si segnò con la bottiglietta dell’acqua benedetta, spense la luce e infilò a letto, giù dalla cucina sentiva il rumore delle stoviglie nell’acquaio. Quella notte non avrebbe dormito, sarebbe uscito di casa prestissimo per recarsi all’appuntamento, doveva essere pronto, non doveva assopirsi.
Quando uscì per strada il vento gelido gli scompigliò i capelli, guardò le cime degli alberi, si confondevano col buio della notte. Di fronte alla fontanella della piazza un cane si mise ad abbaiare. Allungò il passo, non doveva essere visto. Intanto che camminava ripensava a quello che gli aveva detto il professore: – Niente domande, nemmeno un fiato, ti guideranno loro dopo averti bendato, ci sarà da camminare in mezzo al bosco, partirete presto e presto vuol dire a buio – .
La vecchia fornace abbandonata fuori dal paese era il posto convenuto e Tito ci arrivò che iniziava a far giorno. Aveva indossato il cappotto di sempre e l’unico paio di scarpe più volte risuolate da papà. Come dal nulla, nella luce incerta dell’alba apparvero due figure. Quello più giovane portava gli occhiali e un tascapane a tracolla, l’altro sulla cinquantina un gran giaccone di fustagno e degli scarponi chiodati, entrambi avevano scolpito nel volto la durezza dei mesi passati alla macchia, ma nell’espressione degli occhi, nonostante tutto, c’era una luce buona. – Andiamo che fa giorno – fece l’uomo con gli scarponi, infatti un chiarore sempre più forte si faceva largo fra gli alberi del viale.
Tagliarono la strada e presero subito la via del bosco, ma stare dietro a quei due non era facile, camminavano veloci come cerbiatti. Ad un certo punto si fermarono ansimando, quello più anziano tirò fuori di tasca una striscia di stoffa, bendò strettamente gli occhi a Tito e ripresero a camminare, uno avanti, l’altro dietro e lui nel mezzo aggrappato al primo della fila. Al ragazzo parve un tempo interminabile, inciampava di continuo e in breve perse del tutto l’orientamento. Finalmente si fermarono. Quando gli levarono la benda era già giorno, vide che erano arrivati ad una radura, passò qualche secondo perché si abituasse alla luce, c’erano altri uomini, nel prato, dietro il masso, ai limiti del bosco. Chi seduto, chi affaccendato intorno a dei teli verdi e marroni, chi in piedi a fumare, chi supino a risposare col fucile stretto tra le braccia. Quasi tutti portavano a tracolla il mitra, alcuni anche la pistola, uno di loro aveva un moschetto. Poco più in là un paio stavano intorno ad un ragazzo della sua età, bendato, steso a terra e con le mani legate dietro la schiena. Se ne fece avanti uno del gruppo che portava un fazzoletto rosso al collo, dal cinturone di cuoio penzolava la fondina con la pistola.
–Di dove sei? – domandò.
–Di N…- rispose Tito.
–Dagli il mitra Lupo e facciamo presto – fece uno con il viso scavato e la barba lunga che sembrava il più nervoso di tutti. L’uomo col fazzoletto rosso porse il mitra a Luigi e disse – Vieni con me! – Si avvicinarono al giovane legato, i due di guardia si scostarono, Tito vide che tremava.
– Sparagli!- disse l’uomo con la pistola.
-Perché?- rispose Tito sbiancando.
-E’ una spia, l’abbiamo preso stanotte vicino al paese mentre cercava di nascondersi –
Tito cercò di tenere orizzontale il mitra, era così pesante, si sforzò di credere che quello era tutto un sogno e cominciò a maledire il giorno che aveva pensato di entrare a far parte dei partigiani.
– Non ce la faccio – rispose con un filo di voce.
–Come??Ma sei veramente quel Tito che voleva darci una mano o abbiamo sbagliato persona?–
-Si ,sono io, ma non credevo si dovesse uccidere così a sangue freddo!- rispose sorpreso che quell’uomo sapesse il suo nome.
In quel preciso istante il ragazzo legato si alzò, si tolse lacci e benda e disse ridendo :- Che fortuna , anche per questa volta l’ho scampata, si vede che non sono destinato ad essere passato per le armi. Poi tolse il mitra di mano a Tito, si levò di tasca il caricatore, lo inserì e mettendosi sulla testa un cappellaccio di lana si rivolse ad uno dei suoi falsi carcerieri dicendo : – La prossima volta tocca a qualcun altro fare l’attore.– . Una fragorosa risata del gruppo seguì alle sue parole. Tito intanto se ne stava lì in silenzio a seguire la scena, gli occhi bassi, non portava rancore verso di loro, era solo amareggiato della figura fatta. Poi qualcuno gli diede un buffetto sulla guancia, qualcun altro gli accarezzò i capelli, altri ancora una pacca sulle spalle. Fu nuovamente bendato e nuovamente per un tempo interminabile camminò accanto alle due guide della mattina. Ai limiti del bosco gli tolsero la benda e prima di congedarsi il più giovane disse – Ci salutiamo qui, se vai diritto in quattro e quattr’otto sei alla fornace, per noi è pericoloso farsi vedere troppo in giro quando è giorno, acqua in bocca e tanti saluti al professore da parte del Greco e da Mariolino, veloce adesso, via .-
Quel pezzo di strada fino a casa Tito lo fece tutto di corsa, e mentre correva pensava che all’istituto erano da poco finite le lezioni quindi non era difficile far credere ai genitori che fosse stato a scuola. All’angolo della via che portava alla stazione s’imbatté in una pattuglia di tedeschi, rallentò pensando alle scarpe sporche di terra e che era sudato per la corsa, forse si sarebbero accorti di qualcosa, ma la pattuglia passò senza degnarlo di uno sguardo, erano tutti ragazzi molto giovani, alcuni forse della sua età. Salendo le scale sentì il rumore degli stivali ferrati sul selciato risuonare in lontananza, bussò alla porta. Venne ad aprire papà.
La mattina dopo, alla prima ora c’era lezione d’italiano quindi evitò la giustificazione. Nell’intervallo si avvicinò al professore e pensava a come scusarsi, a come spiegare l’accaduto, ad assicurare che la prossima volta ci sarebbe riuscito. Era sommerso da questi ragionamenti quando l’insegnante, parlando sottovoce, lo prevenne – Tito non te la prendere, la “macchia” non è per tutti, si può combattere anche con la penna. È un’arma senza pallottole, di più vasta portata e a volte molto più efficace. Anche scrivere è una forma di lotta, può aiutare a rendere la vita meno dura a tutti coloro che hanno scelto di fare i partigiani.-
Fu così che Tito continuò fino agli ultimi giorni di guerra a scrivere clandestinamente volantini che inneggiavano alla resistenza, recavano notizie a coloro che combattevano in montagna e aiutavano a mantenere contatti tra i militanti. Fu così che Tito, insieme a tanti altri, contribuì in quel triste periodo della storia, a spianare la strada per la costruzione di un Paese libero e unito.
ao
Complimenti per averci regalato un racconto così ricco di significati.
In un momento storico come quello che stiamo vivendo e in una globalizzazione che ci spoglia dell’ individualità,pensare a quel che hanno vissuto i nostri nonni o genitori riempie il cuore d’orgoglio.
Grazie Alessandro, come sempre con semplicità e linearità hai raccontato una storia di ieri, ma anche di oggi, si, di oggi, perché soltanto quando tutti capiremo che ciascuno di noi non può mai dirsi “fuori” da quanto accade nel mondo, che ne è responsabile al pari di coloro che “fanno”, solo allora dimostreremo d’aver compreso il senso dell’essere comunità. E nella Comunità ciascuno contribuisce con il dono che gli è proprio, esattamente come Tito.