La telefonata
L’uomo guardò l’immagine del suo volto riflessa sul vetro dell’armadietto di metallo, aveva due grosse occhiaie e la barba non fatta. Erano due giorni che non dormiva. Compose lentamente il numero sulla tastiera del cordless ed attese. Uno, due, tre, quattro squilli, sapeva che dall’altra parte la risposta non sarebbe arrivata subito.
- Pronto
- Pronto papà sono io
Una manciata di secondi che all’uomo parvero secoli si frapposero alla risposta. Arrivò e fu come un pugno allo stomaco.
- Lelè non vieni?
- Non posso, c’è emergenza papà
- Ma tu non eri sposato?
- E che c’entra papà
- Questa Vincenza è più importante di tuo padre?
- No papà hai capito male non Vincenza, emergenza, ho detto E MER GEN ZA. È pericoloso.
- Non è tanta la strada per arrivare a casa mia e tu sei sempre stato prudente. Che pericolo vuoi ci sia a venire a trovare tuo padre?
- Papà non è per la strada, c’è pericolo di contagio. E poi lo faccio per te, perché ti voglio bene.
- Ah tu in questo modo mi vuoi bene? Non mi vieni a trovare e dici di volermi bene.
Alberto si mosse verso la scrivania e si lasciò cadere sulla poltrona come un sacco vuoto, appoggiò la schiena e riprese.
- Papà tu non hai capito bene qual è la situazione. Nel mondo c’è una grande epidemia e le persone muoiono come mosche. Ci sono migliaia e migliaia di persone che studiano e ricercano per trovare una soluzione ma non è facile. È una faccenda molto grave. Una tragedia. Capisci papà?
Sulla parola papà chiuse gli occhi, sapeva già quale sarebbe stata la risposta di suo padre
- Ma quale tragedia Lelè. La guerra, quella fu una vera tragedia e io ne so qualcosa. Ad ogni angolo c’era un tedesco o un fascista pronti a farti fuori, e poi mancava tutto, vestiti, da mangiare, da dormire. Quella è stata una vera tragedia.
L’uomo trasse un profondo respiro e un istante prima di parlare strizzò gli occhi come se avesse voluto mettere a fuoco i pensieri, poi esclamò
-Papà anche questa è una guerra ed io sono fra quelli che la combattono.
- Eccolo. Ecco l’eroe. Tutto tua madre. Testardo comu ‘n mulu si. Tu sbagliasti, in banca dovevi entrare, c’era già il posto pronto, sabato e domenica liberi, niente nottate, sabato e domenica liberi. ‘N mulo si.
Alberto si strinse nelle spalle e si passò la mano sinistra sulla guancia, poi riprese
- Papà, ancora con questa storia della banca. Ho fatto quello che desideravo fare e sono felice. Lo sai quanto bene ti voglio e vorrei abbracciarti ma veramente…non posso. Ti prometto che quando questa storia finirà staremo insieme una settimana intera e parleremo di politica come piace tanto a te.
- Lelè quanto durerà questa storia?
L’uomo sorrise, quella domanda voleva dire che il padre forse iniziava a capire.
- Non lo so papà, penso che ancora ci vorrà del tempo. Tutti noi ci stiamo impegnando ma non è semplice. È una tragedia papà, ai supermercati fanno entrare due persone alla volta, anche qua siamo al tracollo, tutti gli ospedali sono al tracollo, tutto chiuso, scuole, negozi, librerie, biblioteche, chiese e…
Il padre lo interruppe
- Anche le chiese Lelè? jè vìeru o stai babìannu?
L’uomo sorrise nuovamente ed era la seconda volta, le parole dette in dialetto gli facevano ricordare la sua infanzia, sulla religione il padre non scherzava mai e dalla sua voce trapelava sorpresa e dolore. Fece un lungo sospiro e rispose.
- È vero papà, è vero ma ora devo lasciarti mi chiamano in corsia, devo iniziare il turno. Non c’è riposo per me in questo momento.
- Riguardati Lelè e vèni vèni prestu.
- Sì papà! Tranquillo starò attento e appena posso vengo. Almeno spero. Un bacione.
Premette il tasto rosso del cordless e si alzò.
Dalla porta aveva fatto capolino la Caposala
- Dottore ne sono arrivati altri due, vanno intubati subito e sistemati in isolamento.
- Vengo subito Luisa, vengo subito, intanto prepari la sala.
L’uomo si fermò per un istante e guardò il quadro che incorniciava con la sua laurea in medicina da centodieci e lode e poi quello che conteneva la specializzazione in pneumologia. Gli si appannarono gli occhiali. No. Non aveva sbagliato a non entrare in banca, aveva fatto la sua scelta ed era stata quella giusta. Si sentì stanco ma felice. Si affrettò a raggiungere la sua équipe, la sua pausa era durata anche troppo.
Hai reso bene i sentimenti dei due protagonisti. È un momento molto difficile ma sappiamo che sarà limitato nel tempo. Coraggio!
Grazie, Alessandro! Hai descritto con parole che toccano le corde del cuore ciò che medici e operatori sanitari vivono quotidianamente…insieme alle loro famiglie….da moglie di infettivologo posso testimoniarlo
Un abbraccio
Toccante e aderente
Come sempre, bravo!
È un racconto scritto con la solita sensibilità ed intelligenza narrativa da Orlando e che mi ha ricordato di un fatto di cui ho letto di recente…di un medico di base di un paesino nei pressi di Latina il quale ha deciso di chiudere il proprio ambulatorio inviando ai suoi malati il seguente sms: ”Lo studio resterà chiuso per il propagarsi dell’infezione dovuta a coronavirus”. Si capisce allora quanto sia importante seguire davvero la propria attitudine e cercare di essere ciò che si è e niente di diverso da quello. In qualche caso l’aver deciso di lavorare in banca potrebbe essersi rivelata una scelta più consona…
Commovente, racconta bene quello che succede negli ospedali e il sacrificio del personale medico e paramedico. Grazie
Un racconto tragicamente bello. Bravo Alessandro, come al solito ti riveli un maestro nel farci partecipi della storia che racconti.