In questo periodo due luoghi prestigiosi nel cuore della città di Pistoia e sedi di importanti esposizioni promosse dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, ospitano un evento di grande importanza. A Palazzo Buontalenti e a Palazzo dei Vescovi è in mostra “Exodus. In cammino sulle strade delle migrazioni” di Sebastião Salgado, un grande maestro indiscusso della fotografia mondiale.
Il particolare evento, realizzato da Fondazione Pistoia Musei e curato dalla moglie dell’artista Lélia Wanick Salgado, sarà visitabile fino al 14 giugno 2020. Centottanta gli splendidi scatti in bianco e nero che raccontano il nostro tempo attraverso i momenti tragici e coraggiosi dei singoli individui nell’emigrazione.
Sebastião Ribeiro Salgado Júnior nasce in una tenuta agricola a Aimorés in Brasile nel 1944. Studia economia e statistica in Brasile e in Francia. Inizia ad interessarsi di fotografia nei primi anni ’70, interesse che presto si trasforma in una vera e propria passione e quindi in un meritevole progetto di vita. Questo straordinario fotoreporter umanista, che è considerato a ragione uno dei più grandi fotografi dei nostri tempi, documenta con il suo lavoro come viene condizionata la vita degli esseri umani dai cambiamenti ambientali economici e politici.
L’allestimento delle due sedi è fatto magistralmente e già all’inizio del percorso è impossibile non notare le luci soffuse, la discrezione del personale, l’atmosfera pacata e silenziosa, quasi a voler trasmettere rispetto per quelle immagini che ci parlano di ciò che l’uomo è costretto a fare per sfuggire alla guerra, alla fame e alla devastazione ecologica del pianeta. L’amore per la propria terra, il dolore nel doverla abbandonare, le speranze, le sconfitte e l’angoscia del domani.
Salgado fa parlare le foto, ognuna di esse ha la propria essenza, la propria anima e, anche se esse sono in bianco e nero, sembra di intravedere i colori, di percepirne gli odori, di immedesimarsi nelle gesta dei protagonisti, di sentirne le voci, di carpirne i pensieri, di condividere il loro dolore. Sembrerà di essere presenti in quei momenti, accanto a profughi e migranti, sfuggire con loro dalla povertà, dalla violenza e dalla guerra rincorrendo il sogno di una vita migliore. Allora osservando le immagini diventeremo i loro compagni di viaggio attraverso strade infinitamente lunghe e irte di pericoli accanto a messicani, marocchini, vietnamiti, vicini gomito a gomito ad afgani e curdi, bosniaci e serbi, kosovari, palestinesi e russi. Anche il visitatore meno sensibile immaginerà di essere là nella polvere dei campi profughi in Angola come in Mozambico, in quelli gelati dell’Afganistan oppure nelle baraccopoli di Bombay in India o in quelle di Manila nelle Filippine.
A chiunque si troverà di fronte ai soggetti ritratti sembrerà di vivere la scena, di avere le loro stesse difficoltà e di esultare delle loro vittorie, di confondere il loro faticoso ansimare nella ricerca di un futuro migliore al proprio sguardo incredulo e perplesso.
Il grande fotografo, oltre a far emergere attraverso le immagini queste tragedie umane, ha saputo ritrarre nei volti di donne, uomini e bambini la fatica, il turbamento e le mille emozioni provate nel momento dello scatto.
Salgado denuncia mettendo in relazione causa ed effetto, confronta quello che è con quello che potrebbe essere, in una suggestiva ed impressionante altalena di immagini in bianco e nero.
Una sezione particolare che colpisce per la sua unicità è quella allestita a Palazzo dei Vescovi e che riguarda i ritratti dei piccoli profughi. Se è vero che negli occhi dei bambini riusciamo a vedere la purezza e l’innocenza è anche vero che questi piccoli della Croazia o del Kurdistan, del Mozambico o dell’Equador, del Libano o dell’Angola, hanno uno sguardo adulto, che indaga e che ci chiede conto dei nostri errori e delle nostre colpe.
Nella tradizione ebraica c’è un modello di riferimento importante per commentare, trasmettere e far rivivere la memoria, per attualizzare ma anche per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo: la schiavitù d’Egitto. La Torah risolve in poche righe l’avvenimento mentre dedica tutto il suo secondo libro, l’Esodo, nello spiegare come si esce e perché si esce dall’Egitto verso una nuova terra, quella promessa da Dio. L’intento è quello di far conoscere e trasmettere questo “passaggio” a tutti i popoli della terra.
Quando esco dalla mostra sta piovendo, mi incammino e dimentico di aprire l’ombrello, ho ancora negli occhi e nel cuore quelle immagini che graffiano la mia coscienza. Sento rinnovare in me la consapevolezza che il mio essere, infinitesima parte del genere umano, non può prescindere dal rispetto dell’altro. Il nostro impegno sociale nell’aiutare gli oppressi ad uscire dalla propria miseria e riacquistare la dignità innata deve diventare un dovere quotidiano. Nessuno può sentirsi assolto fino a quando ci sarà qualcuno che non gode dei diritti universali. Forse riusciremo a riconoscere nel proprio simile l’opera meravigliosa di Dio, nella Sua infinita semplicità e, proprio per questo, nella Sua infinita grandezza.