Siamo a fine giugno, questa estate è scoppiata in tutto il suo fulgore, anche troppo per la verità, la siccità incombe e la carenza d’acqua rende la vita delle piante e degli uomini difficile. Comunque sia, le giornate sono lunghissime, e questo è bello, ma fa un caldo terribile e in questo periodo ho poche idee, pochi stimoli, non scrivo. Preferisco ritirarmi nella mia Shangri-La, dove imparo sempre qualcosa e ho esperienze inusuali e creative. C’è sempre da fare e se si rompe qualcosa, devo arrangiarmi, trovare il modo di sistemare usando ciò che trovo, col poco che ho. È un forzato e stupendo ritorno al passato. Nel mio piccolo Paradiso, dove fuggo da tutto e da tutti, dove la natura fa da padrona e il volo di un’ape, il fruscio del vento, la fatica per dissodare il terreno, le mani callose e terrose di coloro che frequento, hanno più importanza delle luci della città, di un convegno, di un caffè letterario, di una presentazione di una mostra d’arte, di un’intrigante bozza da correggere. Gli stimoli, fuori dallo Shangri-La, sono minimi ma…
Seduto alla mia scrivania di lavoro, anche questo giugno, come faccio ormai da sempre, ho deciso che metterò su carta qualcosa su Don Milani, il Priore, il mio amato Don Lorenzo, nel cinquantacinquesimo dalla sua scomparsa con una riflessione che, in parte, avevo già pubblicato tanti anni fa.
Il tavolo è identico, non ci sono sedie, solo due panche ai lati. Anche la pergola ha la stessa forma con i suoi bei pali dritti ai quattro lati e le pertiche di castagno, più piccole, messe di traverso in alto, a formare una sorta di tetto. Sto seduto su una vecchia sdraio pieghevole. Di fronte a me il bosco e in fondo là sotto, lontana, invasa dal sole, Pistoia. Se alle spalle avessi l’entrata della canonica, anziché le balze del podere, mi sentirei a Barbiana. Non conosco il motivo che mi ha indotto a costruire uno spazio simile ma sono felice di aver ricreato l’atmosfera che ricorda la scuola del Priore, una cosa che ho sempre amato. A Barbiana c’era un’aula sola nella quale mancavano cattedra e registro, che sono ancora oggi i simboli prettamente scolastici, era un luogo d’incontro, di condivisione, molto simile ad una piazza dove tutti i giorni succedeva qualcosa di diverso e la sera, prima di dormire, si faceva un bilancio della giornata trascorsa. A fine anno scolastico possiamo anche noi fare nuovamente un bilancio. La situazione che stiamo vivendo, in cui la pandemia per quasi tre anni ci ha provato pesantemente, dove, in un attimo, le nostre certezze sulla pace si sono sgretolate e dove le regole del Governo che riguardo la scuola ha favorito la DAD alla presenza, ci sentiamo insicuri e storditi. Inoltre tutto ciò ha spietatamente confermato il sempre eterno divario tra Pierino e Gianni, dove Gianni potrebbe chiamarsi tranquillamente Ahmed o Ledan.
Immaginiamo un’aula, l’inizio di un giorno di scuola, la maestra, i bambini.
«Buongiorno bambini!»
«Buongiorno signora maestra!»
«Oggi faremo un bel gioco, il “gioco della solidarietà”»
«E cos’è signora maestra?»
«È una cosa semplice, vedrete sarà anche divertente. Allora, Luigino che nell’ultimo compito di aritmetica hai preso 8, spiega a Ombretta le tabelline del 7 e del 9 perché mi pare che ultimamente non le avesse imparate bene. E tu Francesco racconta a Giovanni cosa abbiamo spiegato sui dinosauri la settimana scorsa, lui purtroppo era malato ed è rimasto un po’ indietro. Insomma bambini cerchiamo tutti di dare una mano a tutti. Fate così: i più bravi vadano accanto a quelli un po’ meno bravi e li aiutino, io intanto sarò sempre qui accanto a voi per insegnarvi a farlo bene. Ah bambini, dimenticavo, non andremo avanti nel programma fino a quando tutti non avrete imparato quello che il vostro compagno vi ha spiegato!»
Penso che sarebbe veramente bello avere una scuola primaria che investe in passione, che trasmette la passione, quella dell’insegnamento, del conoscere, dell’altruismo nei confronti del più debole, del meno bravo. Investire in sacrifici, quelli dell’insegnante e quelli dell’alunno. La voglia e la passione per riuscire a fare emergere per arrivare ad essere, se non uguale, molto simile agli altri. Un buon insegnante è anche questo. Mi piacerebbe pensare docenti colti, appassionati, animati da un profondo senso di responsabilità per le conseguenze del loro agire sulla vita di coloro che diventeranno futuri meccanici, scienziati, medici, impiegati, avvocati, operai nelle fabbriche, ricercatori, architetti, commercianti, ingegneri e perché no anche futuri insegnanti. Mi piacerebbe pensare docenti che giornalmente traducono il proprio patrimonio intellettuale e morale in azioni e comportamenti concreti volti a fondere il proprio lavoro con i dettami della loro coscienza. Non si può vivere solo di arido tecnicismo, di parametri scontati, di burocrazia, a volte serve un po’ di immaginazione e una buona dose di elasticità mentale nel giudicare, specie se chi sta di fronte è un bambino di sei, sette, otto anni. E qua rientra l’insegnamento di Don Milani: “Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione è come avere buttato dal cielo un passerotto senza ali”. Stranieri e disabili tendono negli ultimi anni a crescere di numero e questo spaventa il mondo della scuola ma questo non vuol dire che, per esorcizzare le nostre paure, serva bocciare e far ripetere la prima elementare.
Eppure, specialmente se si sono incontrate delle difficoltà durante l’anno e nonostante ormai nella scuola primaria la mancata promozione sia un fatto rarissimo, il solo pensare che possa succedere mi mette tristezza. I genitori si trovano spesso a domandarsi se si possa essere bocciati alle elementari, e soprattutto in quali occasioni è prevista la bocciatura.
Il bocciare un bambino nella scuola primaria vuol dire aver perso, vuol dire essere sconfitti come insegnanti e come persone. Significa non essere stati capaci di stimolarlo, di capirlo, di conoscerlo, di rendersi conto dei suoi problemi, delle sue preoccupazioni, dei suoi sogni, e perché no, delle sue pigrizie. Insomma di dare tutto ciò che serve a farlo diventare grande. Il comportamento degli insegnanti che, forti del loro ruolo bocciano alla scuola primaria, qualunque sia la motivazione addotta, merita una riflessione. Penso che dovrebbero vergognarsi almeno un po’, in ordine per due motivi fondamentali: il primo è quello di non aver considerato la scuola primaria come una scuola di base che deve dare al bambino il primo approccio all’apprendimento e alle conoscenze, rispettandone però i tempi che sono diversi da individuo a individuo.
In secondo luogo, ma non meno importante, questi luminari della didattica dovrebbero riconoscere, e spesso non lo fanno, che il mondo della scuola non va avanti perché vengono seguite normative ministeriali che prevedono determinati comportamenti e decisioni a volte assurde, ma perché nell’insieme e fortunatamente ci sono colleghi diversi. Ci sono anche insegnanti di ogni ordine e grado che svolgono il loro lavoro mettendo continuamente in discussione il proprio operato e che, specie nella scuola primaria si rendono conto di avere di fronte delle piccole piantine con deboli radici da seguire e coltivare con amore, da far crescere con comprensione e fatica. Insegnare ai bambini è fatica, molta fatica, e loro non sono delle erbacce da sradicare per rendere il proprio percorso più agevole e meno faticoso.
La scuola dovrebbe quindi incoraggiare alla scoperta, e nutrire la curiosità che è una caratteristica di ogni bambino, colmare le sue lacune e le sue incertezze.
Mi domando: oggi che sono così di moda le certificazioni degli alunni non sarebbe forse utile proporre la certificazione degli insegnanti? L’insegnamento non è una guerra nella quale c’è un avversario da vincere, l’insegnamento presuppone solo tanta dedizione, tanto sacrificio e molta comprensione nei confronti dei più deboli. I veri nemici da battere sono l’approssimazione e l’indifferenza. Questi sono i veri ostacoli che stanno uccidendo la scuola italiana.
Un’ultima considerazione: a cosa può servire l’aver bocciato un bambino se non a mortificare la persona e la famiglia. Chiedere a quel bambino di ripetere l’anno scolastico non è stata una prova di forza, ma una profonda debolezza e una grande sconfitta. Noi tutti possiamo apprendere molto e molte cose da una persona diversa dagli altri e molto di noi stessi abbiamo il dovere di dare a questa persona, se non altro per fare un attento riesame della nostra coscienza. Signora maestra l’aver rispettato le normative ministeriali, i “fogli”, le “carte”, questa volta non ha assunto il valore di dovere ma il sapore di una sterminata e purtroppo insanabile chiusura mentale. Mi dispiace dirglielo! Anzi no! Non mi dispiace proprio per niente!
– Signora maestra, lei è bocciata!!
a.o.