Era un piccolo paese di montagna sperso tra i boschi dell’Appennino, con l’auto si arrivava fino al piazzale di fronte alla Chiesa. Era da lì che iniziava il sentiero per arrivare al crinale e poi seguendo la pista fino a quelle quattro mura fatte di lastroni di pietra che noi chiamavamo rifugio. Prima di spingere la porticina di castagno gridavamo in coro: “EVVAI” e battevamo cinque. Eravamo giovani allora, io, Stefano, Gianni. A volte veniva con noi anche Ivano, il più giovane, iscritto a lettere e filosofia e perennemente fuori corso. Lo prendevamo in giro chiamandolo “lo studente” con una punta di mordace ironia. Siciliano, un sorriso bellissimo e due grandi occhi neri, vivi e profondi. Appena arrivati si accendeva il fuoco nel grande camino addossato a una parete. Il calore e il crepitio della fiamma invitava a parlare e a confidarci le nostre speranze per il futuro. Ivano era affascinato dall’Oriente e il suo sogno era quello di partire per il Giappone, quasi un miraggio per lui. Noi lo lasciavamo fantasticare convinti che nella vita non avrebbe mai concluso niente. Poi, come succede spesso lungo i sentieri degli anni, ci siamo persi e di quei giorni rimangono solo ricordi e molta nostalgia. È passato molto tempo e non ho più incontrato Ivan ma l’altro giorno, come sempre, ho dato uno sguardo ai titoli dei quotidiani e uno in particolare ha colpito la mia attenzione: “Tokio – A un italiano va il primo premio per il migliore imprenditore straniero” e poco più sotto la foto di Ivano. Non poteva essere che lui, un po’ meno capelli, molte rughe su quel viso abbronzato ma lo stesso sorriso e gli stessi occhi, neri, vivi e profondi. Sono felice per te, amico mio, che hai riscattato la vita. Il tuo successo guarisce il mio rimorso per l’ironia cattiva di un tempo passato.