Paolo Borrometi è un giovane giornalista sotto scorta dal 2014. È una persona scomoda per la mafia perché ha il vizio di denunciare e di dire la verità. La colpa, secondo i boss mafiosi, è quella di parlare troppo. Non posso spiegare in poche righe chi è Paolo Borrometi, del suo prezioso lavoro di informazione e di denuncia, troppo lungo l’elenco delle battaglie fatte e vinte contro il mondo mafioso, tantissimi sono stati i premi e i riconoscimenti avuti. Chi vuole approfondire può tranquillamente digitare il suo nome su internet dove purtroppo scoprirà, oltre al pestaggio subito ad opera di due sconosciuti che gli è costato il dover fare un intervento chirurgico alla spalla, anche di quante continue minacce di morte è ed è stato oggetto. Non per questo Paolo si è tirato indietro, anzi sembra che ogni nuova minaccia, ogni nuovo insulto, siano la forza trainante per continuare il proprio impegno di grande giornalista d’inchiesta che non ha paura di dire la verità. Il suo ultimo libro dal titolo “Traditori – come fango e depistaggi hanno segnato la storia italiana” edito da Solferino nell’aprile di quest’anno, è un lavoro minuzioso di ricerca, di verifica e di denuncia sulle stragi e i delitti che in Italia sono rimasti impuniti. È un fiume in piena di date, di nomi, una mole enorme di documentazione contenuta nelle note. Innumerevoli sono i particolari inquietanti che emergono a fronte della bravura dello scrittore nell’analizzare gli eventi con grande intelligenza e capacità di ragionare con un invidiabile metodo deduttivo. La mafia ha segnato la vita dell’Italia ma poco avrebbe potuto fare senza le connivenze e l’aiuto della massoneria del terrorismo e pezzi deviati dello Stato. Nel risvolto di copertina del libro si legge: “…prima ancora di cercare i colpevoli si è messa in dubbio la credibilità di chi accusava…” e ancora “…La lista dei nomi infangati per distrarre l’attenzione dai delitti è lunga. E la strategia ha un preciso nome in gergo, «mascariamento”. Traditori non sono solo coloro che hanno una missione e l’hanno tradita ma anche tutti coloro che potendo fare non fanno e di tutti coloro che si girano dall’altra parte. Il libro, dalla prima all’ultima pagina, ci accompagna in un viaggio nella storia buia del nostro Paese in un intreccio di trame coperte di fango e disseminate di depistaggi. Dallo sbarco in Sicilia degli alleati, alla prima strage di Stato, quella di Portella della Ginestra, ancora coperta da segreto di Stato. Nel libro si racconta in maniera documentatissima la stagione delle bombe del 1992 e del 1993 e, in uno svolgersi degli eventi luttuosi della storia repubblicana come il rapimento di Moro, l’Italicus, il Rapido 904, la strage di Bologna, l’attentato di Capaci e quello di via d’Amelio, si arriva fino all’intricata cattura di Matteo Messina Denaro. Il lavoro certosino di Borrometi è un’icona del giornalismo d’inchiesta dove la continua ricerca della verità diventa un percorso a ostacoli per chi vuole capire come mai tanti delitti sono rimasti impuniti. E allora, come si fa a camminare diritti in questo mondo marcio? Ce lo insegna Paolo attraverso le parole del suo libro e portando degli esempi importanti nel ricordare che a fronte di tanti traditori ci sono anche tanti servitori dello Stato, tanti cittadini, amministratori, giornalisti, sacerdoti che loro malgrado sono morti facendo il proprio dovere, nel tentativo di rendere la nostra storia autorevole e credibile. Paolo Borrometi nel suo ultimo lavoro, in calce alla pagina dove fa una dedica anche al papà scomparso nel gennaio dello scorso anno, si legge: “A chi cerca Verità e Giustizia”. Non a caso i due sostantivi sono riportati con carattere maiuscolo perché trattano un tema importante sul quale i riflettori della coscienza e della denuncia non dovrebbero mai spengersi: il tema della legalità.
a.o.