“Time is on my side”, il tempo è dalla mia parte. I Rolling Stone lo cantavano una sessantina di anni fa, rispecchiavano l’idea di un’intera generazione, la convinzione che il tempo fosse indiscutibilmente un amico. Forse in quegli anni aveva un senso, erano i favolosi anni del “boom” e le condizioni di crescita economica e tecnologica si facevano sentire fortemente. Ma al giorno d’oggi siamo proprio sicuri che sia veramente così? Chi afferma che il tempo è dalla sua parte, è convinto che il mondo sta cambiando in meglio e che i momenti sono propizi per realizzare sogni irraggiungibili. Però di questi tempi – ma ormai da troppo tempo – una delle leggi che governa il nostro vivere quotidiano è una velocizzazione crescente, il pensiero dominante è quello che il nostro tempo debba essere riempito comunque di traguardi sempre più alti da raggiungere. Un’accelerazione continua diventa una continua lotta, ci fa perdere di vista l’emozione per le piccole cose, quelle che ci fanno vivere bene e ci riempiono il cuore. L’uomo di oggi quando guarda il cielo vede solo nuvole, non è capace di andare oltre, manca la spinta, la voglia, il progetto. Sappiamo tutto del tempo passato e pare che questo ci basti, nel presente ci anestetizziamo smaneggiando per ore uno smartphone o un tablet e siamo incapaci di pensare un tempo nuovo, di ambire a nuovi traguardi, di recuperare il senso di una misura oramai smarrita, di ritagliarci un istante e stupirci. Chi ha tanto e controlla tutto ha poco interesse per il futuro, ha strumenti di potere che impongono ad una infinità di esseri umani di sopprimere il proprio tempo, i propri sogni, i propri legittimi desideri. Pensano, questi “manager del nulla”, di disporre degli altri e di catalogare il prossimo come un essere “secondario”. Tutta la loro vita diventa una corsa al “di più” e c’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare quella precedente. Vanno raggiunti nuovi traguardi, a scapito di tutto e di tutti perché portano guadagni, ricchezza, potere. È democratico il tempo, senza alcuna distinzione e non è infinito, me ne accorgo ogni anno che passa. A volte penso di non averne il dovuto riguardo. I minuti che scorrono nell’attesa della risposta di un esame medico sono lentissimi, non passano mai, quelli invece che riempiono una cena tra amici se ne fuggono via in un attimo. È vero, il contesto è diverso, ma l’unità di misura del tempo, che continua a passare, è la stessa. Fermiamoci un attimo, perché niente ci vieta di pensare che spesso il tempo diventa un’attesa continua della straordinarietà del mondo che ci circonda, e al quale si tende a prestare poca attenzione, come tutto ciò che viviamo e abbiamo davanti agli occhi. Esso diventa il contenitore del nostro quotidiano. Quanto dura l’attesa del fragore forte e cupo del tuono che viene dopo la saetta? Pochi secondi, ma bastano per creare in noi un senso di impotenza e di mostrarci la nostra finitezza. La bellezza di un incontro, l’odore del caffè al mattino, il frastuono del traffico, i ricordi di quando si era bambini, l’acquisto di un libro, amare una persona, sentirsi capiti, lasciarsi conquistare da un film, preparare una torta. Tutto passa attraverso il tempo della nostra vita, straordinaria, unica e irripetibile. Tuttavia, mentre io sto scrivendo, sono molte nel mondo le popolazioni per cui la guerra è una tragica normalità e l’invasione russa dell’Ucraina è solo l’ultimo di un lungo elenco. Il tempo della pace sembra irraggiungibile. Nell’attesa che la guerra finisca, mi attanaglia la paura di un conflitto nucleare, il tempo inesorabile si dilata e l’angoscia mi si deposita addosso lentamente. Intanto le ore, i giorni, i mesi continuano a passare. Fermiamoci quindi ogni tanto e, come diceva Tiziano Terzani, «lasciamoci prendere dal sentimento di meraviglia davanti al mondo». Fermiamoci perché ci aiuterà a riflettere di quanto siamo fortunati, della nostra unicità che è anche la nostra vera bellezza e forse riusciremo a capire quanto sia prezioso il tempo che riempie ogni attimo della nostra vita.
a.o.