«Ho rubato un orologio/e l’ho messo sotto le costole/per far sì che il mio petto non sia vuoto/per far sì che dentro non ci passi il vento/Lo puoi sentire proprio bene come batte sotto la camicia/se pensi che sia il cuore ti sbagli/Io il cuore ce l’ho in gola da quando sono nato»
In questi giorni tristi di guerra e di vicende dolorose, mi è capitato di leggere questi versi del poeta e giornalista jugoslavo Antic Miroslav che, almeno in parte, riflettono lo stato d’animo di tutti gli ucraini che vivono in quella terra così vicina a noi, martoriata dalle bombe e dai missili russi.
Guardo fuori dalla finestra, sta piovendo come fosse novembre. Fa freddo. La mia Shangri-La, il mio pezzo di paradiso contornato dagli olivi e dai boschi, ora è immersa nella nebbia. Questo grigiore, quasi autunnale, accresce in me la voglia di calore, di luce e di sole, eppure appena pochi giorni fa era scoppiata la primavera. Mi siedo vicino alla stufa accesa ed ascolto le gocce che battono sul tetto. C’è silenzio intorno e il frusciare del vento e dell’acqua tra le foglie inducono la mente a pensare. Rivedo quella lettera Z che, nei giorni passati, durante lo show di Putin allo stadio Luzhniki di Mosca sventolava sulle bandiere, era impressa sulle magliette, circondata da frasi gridate ad alta voce che inneggiavano ad un mondo senza nazismo.
Oggi le guerre si combattono metà sul campo e metà sui media. Quella Z è un simbolo di vittoria? Un segno di riconoscimento per non sparare sulle forze amiche? Oppure, dato che è l’ultima lettera dell’alfabeto, potrebbe anche essere l’invito a mettere in atto una soluzione finale. Già, la “soluzione finale”, questo concetto mi ricorda qualcosa avvenuto nella storia recente. Mi conferma che i totalitarismi nascono e crescono in questo modo. Con l’effettuazione di una convention allargata, in una piazza, in un grande teatro o in uno stadio come ha fatto Putin. C’è una massa di persone riunita, non tutti coloro che partecipano sono cattivi, ma sicuramente sono spudoratamente superficiali, indottrinati, ingenui. Putin cita il Vangelo di Giovanni, per ben due volte, intanto la guerra che il moderno Zar ha scatenato rade al suolo città e miete vittime innocenti. Sotto il fuoco russo cadono uomini, donne, bambini.
Un fulmine, seguito dal fragore del tuono mi distoglie da questi pensieri.
Negli ultimi anni l’angoscia, il dolore e le preoccupazioni hanno preso il sopravvento, la vita, quella vissuta normalmente, ha preso a correre su di un binario diverso ed ha attraversato vicende terribili cui l’impatto umano, sociale ed economico è stato disastroso. Alla pandemia, che ancora non è finita, è seguita una guerra assurda (in verità tutte le guerre lo sono ma questo è solo il mio pensiero) combattuta a pochi passi da noi. Gli eventi dell’ultimo mese hanno oscurato, artefatto, condizionato il nostro quotidiano.
Cosa rimane?
La compagnia di assicurazioni Zurich ha rimosso dai social il suo logo che rappresenta una Z bianca su sfondo blu. Troppi sono i rischi che venga male interpretata l’ultima lettera dell’alfabeto che rappresenta anche l’invasione russa in Ucraina.
Magra consolazione per me. Ecco cosa rimane: anche un’azienda che lavora col denaro e quindi forse più attenta ai profitti e ai numeri e non alle vicende umane, si sia resa conto che, in questa guerra, come in tutte le guerre, l’unica cosa giusta da fare sarebbe stata quella di non iniziarla. Mi martella nella mente una frase del poeta Neruda: «Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono”
Qualcuno dirà che faccio filosofia. Può darsi, forse il mio è solo un viaggio della mente nel grigiore di questa giornata che nulla ha della primavera appena iniziata. Un viaggio verso l’utopia, un viaggio senza carte e senza mappe che mi libera da tutte le zavorre aggrappate al mio cuore. In questa strana giornata di pioggia serve anche questo.
Guardo fuori dalla finestra la mia Shangri-La e mi accorgo che è smesso di piovere. In fondo alla valle, tra le nuvole, è apparso un raggio di sole.
a.o.