Stamattina è freddo e fuori c’è la nebbia che bagna i vestiti, entra nelle ossa. Torno a casa e metto le mani sul termosifone che scotta. E’ bello stare al caldo ma….domenica scorsa ricorreva la V^ giornata mondiale dei poveri e penso che più si avvicina l’inverno e più la luce lascia spazio all’ingordigia delle tenebre. Illuminiamo questa domenica con questa bella riflessione di un amico ormai scomparso.
«L’inverno è la stagione dell’angelo del freddo. È un angelo invisibile che, nei mesi invernali, scende a difendere dall’assideramento tutti i rifiuti umani della Terra. Veloce come il vento, trasparente come il cristallo, silenzioso come la grazia, compie, senza volto e senza nome, la sua missione.
L’inverno è nemico del povero più della stessa fame. La mancanza del tetto e del vestito è più dura della mancanza di pane. L’angelo non arriva a difenderli tutti, spesso qualcuno rimane fulminato sotto i ponti o sulle scalinate delle chiese.
Per quelli che restano, con tanti giorni spietati davanti, per i bambini lividi dal freddo, per le donne cui nemmeno il pudore consente di coprire bene una sfigurata bellezza, per gli uomini senza lavoro che non sanno dove tenere le mani, per i vecchi ormai trasparenti che non trovano posto dove posare i piedi, l’angelo continua ad alimentare l’inconsapevole coraggio dei disperati e ad amministrare il miracolo quotidiano.
Nessuno l’ha mai visto, chiamato per nome o ringraziato. Nemmeno i poveri, per i quali è stato creato. Un giorno lo conosceranno, amico sconosciuto di tutte le loro notti invernali, disperate o rassegnate e sarà una delle sorprese del paradiso.
Capiranno allora che egli era lo scalino della chiesa dove, coperti di stracci, hanno passato le notti d’inverno. Che era l’arcata del ponte sotto il quale si sono raggomitolati per ore di notte, mentre l’acqua taceva, per non svegliarli, nel suo crostone di ghiaccio. Capiranno chi era stato a salvarli dalla morte per tanti giorni e notti interminabili.
L’angelo non fa venire il sole quando è nuvoloso, non ferma la neve quando scende, come non scioglie l’acqua quando gela, non ferma il vento e il nevischio quando spazzano il cielo e la terra.
Egli fa qualcosa di più, alimenta il miracolo nella squallida carne dei poveri. La rende insensibile più che può ai rigori invernali, ne accende più celermente il sangue, pur così povero di globuli rossi, anche se le calorie dovrebbero, a rigore, nascere da una minestra calda.
Così i poveri, sotto le mani invisibili dell’angelo, continuano a patire il freddo, ma, in genere non ne muoiono, né buscano quelle malattie che tutta la gente «normale», se vivesse la loro vita, prenderebbe in un momento.
La gente dei termosifoni, della strada, dei liquori e delle pellicce non capisce questo miracolo dei poveri, perché, probabilmente, non ha tempo per pensare all’angelo del freddo.
Davanti all’assurdo di poveri così resistenti, quella gente se la cava dicendo: «Ah, loro ci sono abituati». Non conoscendolo, chiama banalmente abitudine un angelo vero e proprio. Perché, anche se i medici me lo confermano, io, all’abitudine dei poveri al freddo, non ci credo proprio. Preferisco credere all’angelo e che quell’abitudine è frutto del suo miracolo.
Non si tratta di un pensiero poetico, ma è un pensiero, una certezza d’amore. Sia pure con un certo egoismo, ho bisogno di credere all’angelo del freddo, proprio io che il freddo non lo debbo mai patire.
Ho bisogno di pensare a lui nel tepore della mia camera, per poter prendere sonno senza essere divorato dai rimorsi. Ho bisogno di vederlo almeno col cuore, mentre – veloce come il vento, trasparente come il cristallo, silenzioso come la grazia – fa anche la mia parte, cullando una per una le vittime sconosciute dell’inverno.»
(Giuseppe Stoppiglia)