Ascolto la pioggia che cade sulla tenda fuori nel giardino, fa un rumore strano, quasi fosse una spazzola che muove sui piatti di una batteria. È un po’ come se avessi accanto un compagno invisibile che sussurra in maniera ininterrotta e leggera. Monotona. Questo è uno strano inverno che continua a bagnarci senza tregua. Passa la voglia di uscire a passeggiare, di correre, di respirare a pieni polmoni un’aria fredda e pungente che non c’è e non vuole arrivare. Però a pensarci bene questa stagione cattiva che obbliga un maggiore abitare domestico, porta con sé anche qualcosa di buono: un tempo imprevisto da dedicare alle riflessioni. Mi stiro, mi alzo dalla poltrona e guardo fuori dalla finestra. Le macchine che passano rallentano vicino alla curva e poi con un colpo di acceleratore riprendono veloci schizzando l’asfalto. Torno a sedermi e controllo con lo sguardo i libri accatastati vicino alla poltrona, quelli allineati sulle mensole del salotto e nel corridoio. Li scorro ad uno ad uno, sono divisi per autore e per argomento, ma non tutti, spesso nel rimetterli non seguo l’ordine giusto e confondo e salto la vecchia collocazione. La mia attenzione si ferma su di un titolo “Niente e così sia”. E’ un libro scritto da Oriana Fallaci a New York nel 1969.Parla della guerra del Vietnam. E’ una sorta di diario che testimonia un anno passato dall’autrice in qualità di corrispondente di guerra per L’Europeo, insieme al fotografo Gianfranco Moroldo, a Saigon a cavallo tra il 1967 e il 1968. Lo prendo, sulla costa in alto c’è un po’ di polvere, ci soffio sopra, lo apro. Inizio a leggere… Il libro nasce per rispondere alla domanda della sorellina dell’autrice: La vita, cos’è?
Bisogna avere stomaco e sforzarsi e farsi violenza oltre ogni limite per leggerne la prefazione. Riporta la testimonianza di alcuni soldati americani che parteciparono al massacro di My Lai e la testimonianza di alcuni sopravvissuti.
Nelle oltre trecentocinquanta pagine di questa sorta di diario autobiografico ci sono dei passaggi che vanno al di là del valore di un documento storico. È un’indagine sui sentimenti e che scruta nel cuore dell’uomo. L’uomo che conquista la Luna e poi uccide il proprio simile come centinaia, come migliaia di anni fa. Leggo sulla quarta di copertina: “Brutale, disperato, gonfio di umanità, questo libro è un atto di coraggio, una condanna feroce e nello stesso tempo un’invocazione straziante per gli uomini che citando Pascal non sono né angeli né bestie ma angeli e bestie…a tutti insegnerà qualcosa che la Fallaci ha imparato rischiando la sua stessa vita: ad amare la vita”.
Sfoglio le pagine senza un ordine preciso e poi mi fermo sulle ultime due. Sono struggenti le parole scritte a conclusione dalla Fallaci al suo ritorno dal Vietnam. Si rivolge all’amico giornalista Francois della France Presse e poi alla sorellina rispondendo alla domanda che le viene posta prima di partire:
“Ho amato molto la luna, ho invidiato molto chi ci sarebbe andato. Ma ora che la guardo, così grigia e vuota e priva di bene, di male, di vita, già sfruttata per farci dimenticare le colpe, le infamie di qui, per distrarci da noi stessi, ricordo una frase che tu mi dicesti, François: «La Luna è un sogno per chi non ha sogni-. E preferisco questa palla verde e bianca e azzurra e brulicante di bene di male di vita che chiamano Terra. E una palla avvelenata, lo so, e a toccarla a starci si muore, lo so: la vita, Francois, è una condanna a morte! […] E proprio perché siamo condannati a morte bisogna attraversarla bene, riempirla senza sprecare un passo, senza addormentarci un secondo, senza temer di sbagliare, di romperci, noi che siamo uomini, né angeli né bestie ma uomini. Vieni qua Elisabetta, sorellina mia. Un giorno mi chiedesti cos’è la vita: vuoi ancora saperlo? «Sì, la vita cos’è?» «È una cosa da riempire bene, senza perdere tempo. Anche se a riempirla bene si rompe.» «E quando si è rotta?» «Non serve più a niente. Niente e così sia.»
Ci sono esperienze intense e di grande spessore emotivo legate alla lettura di un libro e ancor di più queste si manifestano se il libro racconta verità scomode, a volte taciute, spesso dimenticate, quasi sempre messe in sordina, ma non per questo non avvenute. La stupidità e l’orrore della guerra fanno riflettere sull’ importanza e sulla bellezza della vita. E non perché una guerra sia più o meno ingiusta perché tutte le guerre sono ingiuste e spazzano via la vita, una sola, irripetibile.
Chiudo il libro, le pagine fanno un rumore ovattato come un battito d’ali. Mi alzo e guardo nuovamente fuori dalla finestra. Uno spicchio di sole si affaccia tra le nubi ma continua a piovere e in queste gocce di pioggia c’è vita e il muoversi meraviglioso dell’universo. Rimango in attesa dei colori dell’arcobaleno.
a.o.
Molto bello, davvero. Io penso che dovresti seriamente pensare di riunire tutti i tuoi racconti in una raccolta e pubblicarla.
Grazie di cuore Enrico,
Ci stavo pensando, prima o poi lo farò.
A presto