“Come tra gli esseri umani, anche tra gli animali, chi è troppo sicuro del suo operare sentendosi potente e infallibile, prima o poi sbaglia. Spesso in maniera irreparabile!”
La volpe uscì dalla tana e si guardò intorno annusando l’aria che sapeva di neve, a breve tutto il bosco si sarebbe tinto di bianco. Si approssimava l’inverno, lo diceva il torrente gelato, gli alberi spogli, il terreno indurito, presto tutto sarebbe cambiato in quel pezzo di Toscana, tutto sarebbe stato molto più difficile, la vita stessa sarebbe stata più difficile, dallo spostarsi nel bosco ghiacciato all’impossibilità di trovare di che sfamarsi. Riuscire a trovare del cibo sembrava un’impresa impossibile. Almeno per quello però, negli ultimi tempi, lei non aveva avuto problemi. Proprio dietro la collina, sul limitare del bosco, vicino al viottolo che portava alla fattoria, in un incavo della ceppa di un castagno, tutti i giorni trovava un bel pezzo di carne. E’vero, niente a che vedere con quella saporita delle galline della fattoria, ne con quella morbida e profumata dei fagianotti appena nati, mangiati la primavera scorsa, ma era pur sempre carne e, a pensarci bene, aveva un buon sapore ma soprattutto non costava fatica, era lì pronta, pulita, immobile, innocua.
Tonio ultimamente era sempre più accorto, aveva messo una rete alta e fitta a protezione del pollaio e delle conigliere, la rete entrava sotto il terreno e aveva un cordolo di cemento intorno che la reggeva, sopra invece era chiusa, sorretta solo da cinque pali alti e ritti, ma ben piantati per terra. Assomigliava tanto a quella che usavano negli zoo per tenerci gli uccelli, un bel lavoro davvero. Non si entrava! Nel bosco si raccontava non ce l’avesse fatta neppure la donnola che era molto più longilinea e passava dappertutto, anche nei piccoli pertugi lasciati dai topini di campagna. Niente. Le galline raspavano e beccuzzavano, i conigli mangiavano la loro erba fresca e la povera volpe si leccava i baffi senza poter far nulla, solo tanta saliva in bocca. Eh si! Quel pezzo di carne, tutte le mattine, era proprio la manna dal cielo. Ricordava che le prime volte era insicura, guardinga, ogni piccolo fruscio nel bosco la faceva sobbalzare, le pareva quasi impossibile fosse così facile, prendeva il pezzo di carne e fuggiva via veloce, lontano, a gustarselo col fiato grosso nella sua tana.
Poi piano, piano, col passare dei giorni aveva perso la sua diffidenza, l’istinto era solo un ricordo, si sentiva più sicura, imbattibile, non faceva più caso né all’odore che Tonio aveva lasciato né al rumore della scure dei lontani taglialegna. A differenza delle sue abitudini, ultimamente, mangiava la carne sul posto, senza portarla lontano. Stava al riparo di un folto cespuglio o nella cavità di qualche grosso albero e la assaporava piano piano, gustandola, boccone boccone, senza fretta. Che diamine! Era o non era ammirata e invidiata da tutti per la sua furbizia? Nessun pericolo! Poteva fare quello che le pareva.
Tonio lo sapeva che prima o poi ci sarebbe cascata, erano due mesi che tutte le sere, verso “bruzzico” prendeva per la scorciatoia della carreggiata verso il fitto del cerreto, poi scendendo tagliava in diagonale il campetto di erba medica e riprendeva lungo il torrente, attraversava il ponticino di legno e saliva ancora su fino al castagneto del Necci, dove c’era il viottolo che ritornava alla fattoria. Arrivato alla solita pianta, si metteva i guanti, tirava fuori dalla cacciatora il pezzo di pancetta stando attento a toccarla il minimo indispensabile, la strofinava sul muschio e le foglie e la lasciava là, come stava, senza fare altro. Anche quella sera fece la strada di sempre. Salendo verso il bosco si asciugava il sudore col dorso della mano e pensava: “Chissà se c’è? Speriamo, ma è troppo furba quella carogna!” Mentre saliva rimuginava su tutti i danni che gli aveva fatto quella bestiaccia: pulcini, galline, conigli, uova. Quell’animalaccio non aveva conosciuto limiti prima della costruzione della rete. Tonio aveva giurato che gliela avrebbe fatta pagare. Prima la beccava e meglio era perché era sicuro che quella “velenosa” prima o poi avrebbe trovato il modo di fregarlo di nuovo Era furba, troppo furba!
I suoi dubbi si sciolsero in un attimo quando la vide da lontano, una macchia fulva che stagliava sul verde del muschio. La tagliola, comprata all’appalto una settimana prima aveva funzionato a dovere.
Quando entrò l’aria della locanda era soffocante, sapeva di minestrone e di sigaro toscano, vicino al banco due boscaioli discutevano animatamente, ai tavoli una decina di persone. Alcuni bevevano vino, altri mangiavano, altri ancora giocavano a carte.
Tonio si guardò in giro poi a voce alta esclamò «L’ho beccata quella schifosa, erano mesi che me la lavoravo, mi è costata un patrimonio in rigatino, ma alla fine l’ho fatta secca quella sudiciona!» Si fece silenzio e mille occhi erano puntati sull’uomo. «Dai, dai l’ho presa quel demonio» continuò e tirò fuori dalla cacciatora come un prestigiatore l’animale, rossiccio, la coda bellissima, il petto bianco come la neve. Era proprio una bella volpe, ma a vederla così col muso sporco di sangue faceva un po’ pena ed aveva perso tutta la sua maestosità, una regina del bosco sciagurata, senza più alcun potere, con la lingua di fuori stretta tra i denti, nell’ultima disperata ricerca d’aria, di vita, di libertà.
Qualcuno degli avventori compreso l’oste più curioso degli altri, si erano avvicinati, altri continuavano a giocare, altri ancora dettero un’occhiata furtiva all’uomo senza alzarsi. La discussione si fece accesa, Tonio sbracciandosi raccontava la sua strategia, e giù a bere, a ridere, a imprecare, poi lentamente tutto tornò alla normalità. Solo Rodi, il mulattiere, in un angolo fumoso della stanza, di fronte al suo solito vino, non aveva smesso mai di osservare la scena in silenzio; gli occhi lucidi, il fiasco davanti.
Ad un tratto si issò faticando dalla sedia e, alzato il bicchiere, con voce impastata disse: «Brindo alla furba, che volendo esser troppo furba, diventò bischera».
Come sempre, alle sue parole, tutti risero.