Poco tempo fa mi è capitato di rileggere un romanzo dello scrittore israeliano Abraham Yehoshua che a giudicare dal titolo potrebbe sembrare una pubblicazione di economia aziendale. Tutt’altro, “Il responsabile delle risorse umane” (Einaudi, Torino, 2004), è un condensato di valori simbolici e la storia di un viaggio alla scoperta di una umanità assopita.
E’ alquanto strano essere affascinati da un romanzo nel quale i personaggi sono senza nome. Solo uno, anzi una, ha un nome ed è una donna che viene uccisa durante un attentato suicida in un mercato di Gerusalemme.
Chi era Julia Regajev , quarantotto anni, straniera, dell’Europa dell’Est, senza documenti, nella borsa solo il malridotto cedolino dello stipendio dell’Azienda per la quale lavorava come addetta alle pulizie? Nessuno sembra saperlo, nessuno se ne interessa come nessuno ne reclama il cadavere “immagazzinato” nell’obitorio del Monte Scopus.
Solo un giornalista senza scrupoli sfrutta a fini scandalistici il fatto e scrive un pezzo sul quale denuncia la mancanza di umanità dell’impresa alimentare per la quale la donna lavorava. Al vecchio proprietario dell’azienda, per riparare al danno d’immagine procurato dal settimanale, non rimane che affidare al proprio “responsabile delle risorse umane” il compito di porvi rimedio.
L’alto dirigente, che nel romanzo non viene mai nominato con un nome proprio ma viene identificato esclusivamente con il suo ruolo professionale, è un uomo con rapporti familiari difficili che fa il proprio lavoro in maniera distaccata e asettica.
E’ lui che dovrà intraprendere il viaggio verso il paese d’origine della vittima per consentire una dignitosa sepoltura e restituirle una dignità che sembrava perduta. La storia scorre in una alternanza di responsabilità e di colpe che l’uomo si troverà addosso.
Il protagonista inizierà un percorso di espiazione alla ricerca della propria umanità anestetizzata da una società stanca ed individualista. In questo mondo globalizzato lavorare in aziende dove rappresentiamo solo numeri è un dato di fatto che si riscontra frequentemente ed è il vero nemico da combattere ristabilendo un contatto con una umanità che oggi sembrerebbe smarrita.
Solo se chi ricopre ruoli chiave e gestisce persone si impegnerà a farlo con comprensione, disponibilità e tenerezza, forse potremo salvarci.
Una piccola colpa e un comportamento che, di primo acchito, può sembrare insignificante può dar luogo a conseguenze inimmaginabili. Per Yehoshua essere responsabile non vuol dire solo essere colpevole ma portare soprattutto il peso di un imperativo morale.
Questa è in fondo la sfida che l’Autore ci lancia ma è anche l’invito a riscoprire il vero senso dell’etica. Il sentirsi moralmente “responsabile” è il filo conduttore che lentamente si snoda tra le pagine di questo romanzo e lo rende bellissimo.